Benedetto Todaro: un’accademia di design non è un fast food
L’Italia, Paese di arte e design e di numerose accademie, pubbliche e private, dove il design, le arti applicate e la grafica si insegnano per formare i creativi di domani. Ma un’accademia non è soltanto un luogo di formazione, è anche un’entità che, nel migliore dei casi, entra in simbiosi con il territorio e prova a cambiarlo in meglio, lavorando sulla progettualità. Il professore Benedetto Todaro, architetto, è cofondatore di Quasar Institute for Advanced Design, un’istituzione con sede a Roma che da quasi quarant’anni forma i creativi e opera in stretta correlazione con il territorio.
L’importanza di interagire con il proprio territorio
Che cosa ha dato dunque il Quasar a Roma, in tutti questi anni? “Più che fornire una risposta a questa domanda che chiederebbe una risposta proveniente dall’esterno più che dall’interno dell’Istituto, posso provare a condividere le riflessioni che accompagnano costantemente il nostro stesso porci questo interrogativo”, dice Benedetto Todaro.
“Ricoprire un ruolo di rilievo nell’ambiente in cui si opera è obiettivo primario. È naturale quindi che ci si interroghi sulle progressive acquisizioni ad ogni conclusione di anno accademico. Si tratta di un work in progress, di una rotta da controllare periodicamente facendo il punto. Una rotta si traccia dal punto di partenza verso un approdo desiderato o magari – non conoscendo i possibili arrivi – anche solo verso una direzione auspicata”.
Quasar – aggiunge Benedetto Todaro – è partito con il programma di favorire studi e ricerche nel campo della progettazione ambientale nelle varie accezioni: cioè nelle molte espressioni del design. “Roma per il Quasar è stata non solo un occasionale luogo di nascita, la Roma degli anni dai Cinquanta agli Ottanta del Novecento con il fenomeno degli studi di progettazione-ricerca era un terreno di coltura fertile e ancora innovativo.
I decenni successivi hanno visto il progressivo indebolirsi della spinta creativa, della poiesis cittadina e quindi il ruolo del Quasar, iniziato con un effervescente ed eccitante lavoro di produzione creativa, con proposte alcune delle quali presentate all’amministrazione comunale e in parte anche recepite, si è andato trasformando sempre più in un atto di resistenza in un territorio sterile”.
Un’accademia di design come atto di resistenza
Un atto di resistenza, dunque: un’accademia può essere anche questo. Prosegue Benedetto Todaro: “Tanto per chiarire quanto si va dicendo: Anche gli eventi commerciali (alcuni) godevano di un ampio respiro, basti pensare da un lato alla meteora MIM (Mobili Italiani Moderni) che sotto la conduzione illuminata di Ennio Fazioli reclutò Leonardo Sinisgalli, Ico Parisi, Luigi Pellegrin (che progettò la famosa sede di Largo dei Lombardi) e altri artisti, progettisti e intellettuali nella redazione sia del catalogo produttivo, sia dell’house-organ La botte e il violino a emulazione del precedente Civiltà delle macchine sempre di Sinisgalli.
Al ruolo dell’azienda Stildomus di Aldo Bartolomeo: tra le eccellenze nel design contemporaneo che si avvalse della collaborazione degli stessi autori. Persino la fiera commerciale dell’arredo domestico Casaidea diretta da Raffaele Bernardo che si teneva annualmente nei vecchi padiglioni della Fiera di Roma sulla via Cristoforo Colombo era occasione di collegamenti sperimentali tra artigiani e progettisti promuovendo iniziative culturali collaterali alla fiera commerciale e proiettando giovani talenti nell’agone pubblico nel contempo qualificando la sensibilità e i programmi dei mobilieri romani ai temi della qualità e del design”.
La miopia della politica e della burocrazia
Questa realtà, come racconta Benedetto Todaro, si è progressivamente dissolta, “ed oggi le poche strutture produttive, gli artigiani, i distributori, gli studi professionali e le scuole, pubbliche o private che siano, non fanno sistema, non hanno momenti di incontro e di confronto. La Regione Lazio, che presiede alla formazione professionale, non è strutturata come altre realtà estere per essere promotrice di sviluppo, ma arroccata in una sterile opera di controllo burocratico privo di visione prospettica e quindi più una palla al piede che un supporto per le istituzioni formatrici. In questo deserto culturale il Quasar prosegue quella che abbiamo chiamato opera di resistenza tentando di supplire, nel suo piccolo, alle vistose carenze strutturali”.
Punto qualificante della politica culturale del Quasar, prosegue Benedetto Todaro, “resta sempre il riferimento – crediamo ormai consolidato – all’unità di ricerca e didattica. Abbiamo sempre ribadito questa nostra impostazione, per noi ovvia, ma nei fatti rivoluzionaria. Si consideri che proprio su questo punto le Accademie e le Università falliscono. Le grandi istituzioni vanno fiere della loro ricerca cui attribuiscono grande valore considerando che da quella discenderà poi – come diretta conseguenza – la qualità della formazione. Ma badano bene a tenerle rigorosamente separate.
Il sistema universitario di valutazione della docenza, nei concorsi periodicamente banditi, privilegia curricula ed esperienze di ricerca, non considera se non marginalmente l’impegno didattico dei candidati perpetuando la teoria della separazione tra i due momenti. Addirittura un eccesso di esposizione didattica (troppe lezioni, troppa dedizione agli studenti) è considerata una diminutio potenzialmente penalizzante.
Quasar è probabilmente l’unica accademia che considera ricerca e didattica due facce della stessa attività e soprattutto considera necessario il coinvolgimento degli studenti nella ricerca stessa . Unica Scuola che – quando il gioco si fa duro – non dice agli studenti: “fatti in là ragazzo, lasciami lavorare” ma li coinvolge nella consapevolezza che dalla loro presenza nei momenti di indagine creativa, quando si cercano insieme soluzioni non note a priori, la collaborazione di giovani ancora inesperti non è negativa, non è inutile, è fondamentale come sempre è stata, nella scienza, l’ignoranza curiosa.
Questa singolarità, questo approccio peculiare e raro non è rivolto e non agisce direttamente sull’ambiente del design romano. Finirà poi per influenzarlo quando le generazioni di studenti che hanno sperimentato questa modalità saranno operativi nelle professioni.
Inevitabilmente la loro apertura mentale e la convinzione che la professione non si risolve in routine, ma in ricerca porterà beneficio all’ambiente in cui opereranno. Roma, come molti altri luoghi di origine e di destinazione dei giovani diplomati si gioverà di questo. Occorre pazienza e visione estesa ai tempi lunghi. Quasar non è un fast food”.